Africa a cura di Roberta Catalano

ADMIN
21 Giu 2011

Lo desideravo da molti anni e finalmente, il 20 dicembre 2009, è arrivato il momento di recarmi in Africa. Il nostro aereo atterra di notte, all’aeroporto di BISSAU, capitale della GUINEA BISSAU, tra i paesi più poveri del mondo, ad ovest dell’Africa equatoriale, dove ci accoglie con gioia Padre Carlo. Dopo diverse ore di fuoristrada attraverso la foresta tropicale, siamo finalmente al villaggio di FARIM, ai confini con la Casamance. Dell’Africa gli antichi dicevano “hic sunt leones”. A me sembra che qui, invece, ci sia solo un’altra dimensione dell’esistenza, un’altra ancora dei confini naturali: la luce è così abbagliante che ne scorgi la sua frontiera: l’oscurità a un passo, prossima e latente. Il degrado, la sporcizia, la desolazione è sopra ogni superficie, tuttavia d’improvviso, come delle visioni, appaiono donne ammantate di vesti sgargianti, dall’austerità regale. Lo sguardo è di pietra, battuto, ma il disegno dei corpi che avanzano sembra l’implacabile sfida del diritto a una dignità di ogni essere che ha respiro. Ci muoviamo anche noi sui sentieri traballanti.
Padre Carlo è un autista audace: sembra che quando la strada lo conceda, punti diritto al ciglio, che regolarmente s’infossa. L’auto s’inclina e gli alberi ci toccano fin dentro i finestrini. Il vento è caldo e polveroso, ma piacevole. Qualche ora prima eravamo nei gelidi corridoi dell’aeroporto di Lisbona lasciando l’Italia sotto una fitta coltre di neve. Per me è così insolito a dicembre sentire l’estate addosso.
La strada d’improvviso si arresta davanti a un corso d’acqua che sembra essere un fiume, in realtà è un’ansa di mare. Il paesaggio è meraviglioso. Per traghettarci sull’altra sponda ci attendono a riva dei tronchi scavati con sopra anche una motocicletta e due capre che sembrano non gradire la navigazione, ma il nostro Caronte con una sola mano ne afferra una per gettarla accanto all’altra. Il viaggio è breve e dall’altra parte sbarchiamo al villaggio di Farim.
I bambini sono dappertutto e ci inseguono curiosi. Alla missione troviamo altri volontari, impegnati nella costruzione di un luogo di culto. Io non sono una cattolica praticante, anzi, potrei dire di essere agnostica. Vivo con profonda incertezza la possibilità di un senso ulteriore alla nostra vita sulla terra, e non ho risposte. Affronto con passione però la sfida che la vita ci lancia, come quella piccola capretta un po’ riluttante, che, nonostante i dubbi, resta comunque a bordo della canoa, fino a che non sarà catapultata sull’altra sponda. I miei sogni notturni in questi giorni sono densi d’immagini che ricompaiono inattesi durante la veglia confondendosi a quelle reali. Tutto sembra immerso in una luce onirica.
Il giorno dopo il nostro arrivo Padre Carlo ci conduce in un villaggio dove è stata finalmente ultimata la

costruzione di una scuola. Assistiamo all’inaugurazione e alla fine della cerimonia riceviamo in dono dei tessuti coloratissimi. Il mio è di un bel rosso amaranto. La sera, appena dopo il tramonto, l’illuminazione elettrica nella missione è possibile solo per un paio d’ore. Nel villaggio di Farim la terra rossa delle strade ti entra ovunque e appena è sera c’è solo il brillio del cielo stellato a illuminare le strade. Provo a fare una passeggiata e scorgo sagome di figure anonime, ombre sconosciute che mi mettono a disagio, perché ho una certa paura a camminare al buio.
Eppure mi chiedo che male potrei ricevere da questa gente. Le mie paure da occidentale si agitano in un luogo così diverso dal nostro mondo e diventano fantasmi che popolano solo il mio immaginario. Mi chiedo cosa possa muovere la paura qui. Vedo bambini camminare di notte da soli in sentieri bui in mezzo ai boschi nell’attesa di un passaggio in auto che li porti a destinazione. Non so se si possa chiamare fiducia o sprezzo del pericolo. Solo dopo qualche giorno riuscirò a sapere che cosa muove la paura in questa gente.
capanna-africanaQuando incontri i bambini qui ti colpisce l’innocenza, una cosa simile a un’allegria generosa che è ben visibile nei visi sorridenti. La lezione che impari, pur senza saperlo, è il senso di umanità, la lezione più elementare: quella che ti fa comprendere ogni cosa, senza comprendere, quella che ti fa lasciare ogni resistenza accettando il dato delle cose semplicemente così come sono, nude ed esposte al susseguirsi dei giorni e delle notti.
Una volta ci siamo recati in un villaggio Mandinga, interamente musulmano, dove i bambini erano seminudi e si praticava la poligamia. Certi luoghi resterebbero invisibili e inesplorabili per noi, se non ci accompagnasse Padre Carlo lungo sentieri davvero impervi. Anche qui come in tutta la Guinea le pettinature delle ragazze sono uno spettacolo di precisione dell’arte parrucchiera; ma quello che più mi attrae di queste giovani sono i loro occhi grandi e vivaci ed i loro spontanei ed ampi sorrisi. Fanno a gara a posare per le mie fotografie e ridono divertiti quando mostro i loro ritratti nel display della mia fotocamera.
Dopo una settimana a Farim, siamo andati alle isole Bijagos, un arcipelago poco distante dalle coste della Guinea. Prendere il mare è stato emozionante. Dal motoscafo, per quanto avanzassimo verso il mare aperto, sempre eravamo circondati da bracci di terra e avanzando ancora oltre, davanti a noi sono affiorate come un miraggio le Bijagos, con le loro rive basse e sabbiose, dense di palmeti. Una volta sbarcati a Bubaque, tra baracchini di pesce essiccato, mucchi di baguettes appena sfornate da nascoste panetterie, schede telefoniche dubbie, bustine di sale e di cajoù (una specie di nocciole) e vassoi pieni di frutta, in prevalenza pompelmi e piccole banane, abbiamo raggiunto la nostra dimora, chez Dora.
In queste isole ho conosciuto le maree. Anche qui la notte era illuminata solo dalla luna o da lampade a petrolio. Anche qui gli abitanti del villaggio sono abituati al buio: per questo possono muoversi, correre, e a volte anche, liberamente danzare. Mi ricordo la luna alta, un grande baobab e la terra battuta, rossa ovunque. E poi il ritmo dei tamburi e delle callebasse. E non c’era vento, mai, come in certe visioni che ti restano dentro.

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1 Commento

  1. maria grazia conti

    ciao Roberta, molto bello il tuo racconto, e’ molto suggestivo e regala molte emozioni! complimenti!

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